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di Claudio Marincola
«Almasri? L’Italia rischia sanzioni, per i due ministri possibile processo»
«Hanno sbagliato tutti: la Corte d’Appello di Roma e il ministro Nordio. Bastava informare la Corte penale internazionale, farsi inviare la copia tradotta, chiedere alla Procura generale la misura della custodia cautelare e Almasri sarebbe stato riarrestato. Sono cose che si fanno sempre»
La Corte d’Appello di Roma ha sbagliato. E ha sbagliato anche il ministro Nordio. Bastava informare la Corte penale internazionale, farsi inviare la copia tradotta, quindi chiedere alla Procura generale la misura della custodia cautelare e Almasri sarebbe stato riarrestato. Sono cose che si fanno costantemente. Scarcerazione e riarresti in tempo reale. Ma questo non è stato possibile farlo perché il soggetto di cui parliamo è stato rimandato in Libia e il governo è rimasto inerte».
Districarsi nella vorticosa girandola di accuse e di scaricabarile non è cosa semplice. Ci proviamo affidandoci a un addetto ai lavori, Roberto De Vita, avvocato presso la Corte penale internazionale (Cpi). Aver disatteso le richieste della Cpi, non aver cioè convalidato l’arresto del criminale libico, avrà ricadute politiche con il relativo rischio di isolamento. Ma sul piano giudiziario Meloni, Nordio e Piantedosi rischiano davvero un processo o si tratta di una ipotesi del tutto campata in aria?
«Se è vera la notizia che la Cpi attraverso la Procura ha avviato un procedimento conoscitivo in relazione a una violazione dell’articolo 70 del Trattato di Roma, la mia risposta è astrattamente sì – inizia De Vita – Ma è un’ipotesi “stretta”, dovrà essere prima provato l’eventuale ostacolo doloso alle funzioni della Corte, ovvero che sia stata attuata una forma di impedimento che ha poi portato alla mancata esecuzione del mandato d’arresto».
Pena prevista?
«Fino a 5 anni di reclusione o punibile con un’ammenda».
Sta scherzando?
«Affatto. Anche se è assai più probabile che l’Italia come Stato rischi, ai sensi degli articoli 119 e 87 della legge di ratifica del Trattato istitutivo della Corte penale internazionale, una prima valutazione e poi deferimento all’Assemblea degli Stati parte, i 125 stati che vi aderiscono. Un deferimento al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite e l’apertura di un giudizio davanti alla Corte internazionale di giustizia. È un giudizio nei confronti dello Stato italiano che aderisce allo statuto. Ci sono dunque obblighi di cooperazione giudiziaria. In buona sostanza, la Cpi dice: “Voi dovevate arrestare Almasri e garantire l’effettività della giurisdizione in modo che si potesse fare il processo. La condotta dell’Italia può essere considerata dunque una violazione dell’articolo 87. La giurisdizione sulla Libia della Cpi deriva dal fatto che nel 2011 vi è stata una risoluzione in tal senso del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite per tutti i fatti commessi dal 2011 a oggi».
Il ministro Nordio ha accusato la Cpi sostenendo che nella documentazione inviata si faceva riferimento a reati commessi nel 2011, quando Almasri era un oppositore di Gheddafi.
«Il ministro si è assai confuso. Bastava una complessiva lettura di quello che è il contenuto del mandato emesso dalla Corte. Nordio ha motivato la nullità del mancato arresto su due presupposti: la mancata traduzione in lingua italiana e una divergenza tra fatti attribuiti ad Almasri che si riferirebbero al 2011, contenuti nel preambolo, altri sempre riferiti al ricercato relativi al 2015. Elementi che comporterebbero la nullità e da qui la mancata esecuzione. Questo ragionamento è sbagliato. La Corte ha dovuto affermare – anche in ragione della dissenting opinion espressa dalla giudice messicana – la propria giurisdizione sulla Libia per tutti i fatti commessi dal 2011 in poi. Ma i reati contestati al capo libico partono dal 2015. In quanto al testo in inglese, il ministro avrebbe impiegato un nanosecondo a dire “mandatemelo tradotto in italiano”. Ma quando invece il presidente del Consigliò parla di anomalie e di stranezze per i tempi di permanenza di Almasri in Europa ha ragione da vendere. Ma non riguardano la Cpi, semmai, le mancate e ritardate segnalazioni da parte della polizia in Germania e, ancora prima, quando è sbarcato in Inghilterra e poi in Belgio indisturbato»,
Dov’è il dolo del nostro governo se l’errore lo hanno commesso i giudici della Corte d’appello di Roma?
«La Corte d’appello di Roma ha sbagliato sovrapponendo e confondendo l’arresto provvisorio con la misura cautelare. Ha confuso la fase 1 con la fase 2. A quel punto ci sarebbe stato uno spazio di deliberazione più ampio, il ministro avrebbe avuto 10 giorni per chiedere l’applicazione delle misure cautelari. Ma per la Cpi chi ha commesso l’errore è irrilevante. Conta la mancata cooperazione, la catena di inadempienze che ha permesso ad Almarsi di sottrarsi al giudizio. Diverso è il discorso per lo Stato italiano. Dopo il deferimento al Consiglio di sicurezza, la controversia finirebbe davanti alla Corte internazionale di giustizia. Che non giudica solo nel merito della riferibilità interna della violazione ma sul contegno dell’Italia rispetto allo Statuto. La Corte di giustizia è il guardiano del rispetto della legalità internazionale degli stati e del trattati. E l’articolo 10 della nostra Costituzione ci ricorda che pacta servanda sunt».
Tradotto in soldoni, di cosa parliamo?
«Sanzioni diplomatiche, economiche e conseguenze commerciali. I precedenti e gli esempi non mancano. Va provata la responsabilità anche solo colposa dell’Italia. E in questo caso, i parenti delle vittime dei reati commessi da Almasri potrebbero agire nei confronti dell’Italia anche presso i tribunali italiani perché è stato impedito di processarlo davanti alla Corte internazionale di Giustizia. Invece per una eventuale responsabilità delle persone fisiche dei ,ministri interessati ai sensi dell’articolo 70 dello Statuto e, quindi, di un giudizio penale degli stessi innanzi la Cpi. si dovrebbe provare un’intenzionalità diversa e ulteriore rispetto alla ragion di Stato. Ipotesi, quest’ultima, che ritengo piuttosto improbabile di fronte a uno scenario misto di errori e di ragion di Stato».