mandato arresto europeo

CGUE: il rifiuto del mandato d’arresto europeo per violazioni dei diritti umani

Corte di Giustizia UE – Si può rifiutare l’esecuzione di un Mandato di Arresto Europeo se si accertano violazioni dei diritti umani.

La Quinta Sezione della Corte,  con la sentenza del 29 luglio 2024 nella causa C-318/24, alla luce della Decisione quadro 2002/584/GAI («Definizione del mandato d’arresto europeo ed obbligo di darne esecuzione»), si è pronunciata sulla possibilità, nella fase di esecuzione di un MAE, di rifiutare la consegna della persona richiesta qualora sussistano rischi concreti e comprovati di violazione dei suoi diritti fondamentali, in particolare del diritto ad un equo processo, sancito dall’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) e del divieto di cui all’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, secondo cui “nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.

La sentenza chiarisce che la tutela di questi diritti è un elemento essenziale che deve essere considerato quando vi siano dubbi sulla qualità del sistema giudiziario e penitenziario dello Stato emittente e stabilisce che la consegna può essere rifiutata se l’autorità giudiziaria dell’esecuzione rilevi che esiste un rischio reale di violazione dei diritti fondamentali nel Paese che emette il MAE, rafforzando così il bilanciamento tra l’efficacia della cooperazione giudiziaria e la protezione dei diritti umani.

Il procedimento posto al vaglio della Corte ha ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale urgente posta dalla Corte d’appello di Braşov (Romania) in tema di modalità di applicazione delle norme in ordine al mandato d’arresto europeo (MAE), regolato dalla Decisione quadro 2002/584/GAI, con particolare attenzione, per quanto qui rileva, ai diritti fondamentali delle persone ricercate ed ai rapporti di fiducia tra gli Stati dell’Unione. Nello specifico, in un caso in cui prima la Francia e successivamente Malta, dopo aver proceduto all’arresto ed aver avviato la procedura di consegna, si sono rifiutate di dar corso al MAE emesso dalla Corte di appello rumena e quindi di consegnare il ricercato.

La Corte d’appello di Parigi aveva fondato tale decisione di rifiuto sul presupposto dell’esistenza di un rischio di violazione del diritto fondamentale ad un equo processo dinanzi ad un giudice indipendente ed imparziale, precostituito per legge, come sancito dall’articolo 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; ritenendo da un lato, che il potere giudiziario in Romania sarebbe stato viziato da carenze sistemiche e generalizzate, in quanto il luogo di conservazione dei verbali della prestazione del giuramento dei giudici sarebbe stato incerto, circostanza che farebbe sorgere un dubbio circa la regolare composizione degli organi giurisdizionali di tale Stato membro, e dall’altro lato, che tale carenza sistemica avrebbe avuto un impatto sul procedimento penale a carico del soggetto nei confronti del quale il MAE era stato emesso.

Due anni dopo, nel 2024, lo stesso soggetto veniva nuovamente arrestato, in forza del medesimo MAE, questa volta a Malta. Anche in questa occasione, il giudice maltese competente aveva deciso di non consegnare il ricercato alle autorità rumene, ritenendo che le informazioni in proprio possesso circa le condizioni di detenzione in Romania non consentissero di concludere che la proibizione di pene o trattamenti inumani o degradanti di cui all’articolo 4 della Carta sarebbe stata rispettata nei confronti del ricercato in caso di sua consegna all’autorità emittente.

Investita quindi di varie questioni pregiudiziali da parte della corte rumena, la Corte di Giustizia dell’UE, sul punto delle motivazioni che possono legittimamente fondare il rifiuto di uno Stato membro di dare corso al MAE emesso da un altro Stato membro[1] sulla base di un precedente provvedimento di diniego da parte di un altro Stato (nel caso in esame se l’autorità maltese potesse fondare il proprio rifiuto sul precedente diniego della corte parigina), ha innanzitutto dichiarato che: “l’autorità dell’esecuzione di uno Stato membro non è tenuta a rifiutare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo quando l’autorità dell’esecuzione di un altro Stato membro abbia precedentemente rifiutato di dare esecuzione a tale mandato d’arresto per il motivo che la consegna della persona interessata rischierebbe di violare il diritto fondamentale a un equo processo sancito all’articolo 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Tuttavia, nell’ambito del proprio esame dell’esistenza di un motivo di non esecuzione, tale autorità deve tenere conto dei motivi sottesi alla decisione di rifiuto adottata dalla prima autorità dell’esecuzione. Le disposizioni in parola non ostano a che, nelle medesime circostanze, l’autorità giudiziaria emittente mantenga il mandato d’arresto europeo, purché, secondo la sua valutazione, l’esecuzione di tale mandato d’arresto non debba essere rifiutata a causa di un rischio di violazione del diritto fondamentale a un equo processo sancito all’articolo 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali e il mantenimento del mandato d’arresto abbia carattere proporzionato[2]. Stabilendo, quindi, che il rifiuto di esecuzione da parte dell’autorità giudiziaria di uno Stato non vincola l’autorità di un altro Stato chiamato a darne successivamente corso, anche se questa deve comunque tenere conto dei motivi addotti dalla prima autorità che ha rifiutato l’esecuzione quando procede al proprio esame sui potenziali motivi di non esecuzione.

Circa poi i motivi ostativi al dare corso al MAE per una asserita violazione del diritto ad un giusto processo, di cui al provvedimento di rifiuto della Corte di appello di Parigi, la Corte di Giustizia UE specifica che: “l’autorità giudiziaria dell’esecuzione di un mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena non può rifiutare di dare esecuzione a tale mandato d’arresto fondandosi sul motivo che il verbale di prestazione del giuramento di un giudice che ha inflitto detta pena non è reperibile o sulla circostanza che un altro giudice dello stesso collegio avrebbe prestato giuramento solo al momento della sua nomina a pubblico ministero[3]”.

Ed inoltre – sul punto delle motivazioni addotte dall’autorità di Malta – che “in sede di esame delle condizioni di detenzione nello Stato membro emittente, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione non può rifiutare l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo fondandosi su elementi relativi alle condizioni di detenzione negli istituti penitenziari dello Stato membro emittente che essa stessa ha raccolto e riguardo ai quali non ha richiesto informazioni complementari all’autorità giudiziaria emittente. L’autorità giudiziaria dell’esecuzione non può applicare, in materia di condizioni di detenzione, uno standard più elevato rispetto a quello garantito da tale articolo 4[4].

Ciò sempre richiamando in più punti il principio fondante della fiducia reciproca, sulla base del quale gli Stati membri devono presumere che tutti gli altri Stati membri rispettino il diritto dell’Unione e, in particolare, i diritti fondamentali riconosciuti da quest’ultima.

È infatti proprio sull’alto grado di fiducia tra gli Stati membri che poggia il meccanismo del mandato d’arresto europeo, che si fonda sia sulla premessa secondo cui il procedimento penale di merito ed i giudici dello Stato membro emittente soddisfino i requisiti inerenti al diritto fondamentale a un equo processo, garantito dall’articolo 47, secondo comma, della Carta, sia sulla presunzione del rispetto dei diritti fondamentali da parte di tutti gli Stati membri.

La sentenza evidenzia, inoltre, che anche l’accertamento dell’esistenza di un rischio generico di trattamento inumano o degradante a causa delle condizioni generali di detenzione nello Stato membro emittente non può condurre, di per sé, al rifiuto di dare esecuzione a un mandato d’arresto europeo. Infatti, la mera esistenza di elementi che attestino carenze sistemiche o generalizzate, o che colpiscano determinati gruppi di persone ovvero determinati istituti penitenziari nello Stato membro emittente, non comporta necessariamente che, nel caso concreto, la persona interessata sia sottoposta a un trattamento inumano o degradante in caso di consegna alle autorità di tale Stato membro[5].

La Corte ha così chiarito che l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve valutare attentamente tali rischi e può rifiutare l’esecuzione del MAE se vi sono prove concrete di carenze che compromettono i diritti fondamentali della persona ricercata. Tuttavia, l’eventuale rifiuto deve essere ben motivato e basato su informazioni precise relative allo specifico contesto giudiziario e carcerario dello Stato emittente.

Questa pronuncia solleva temi cruciali relativi ai diritti fondamentali ed all’equilibrio tra giustizia e sicurezza nell’ambito del mandato d’arresto europeo. Il principio fondamentale confermato dalla Corte è che l’esecuzione di un MAE non può essere automatica se lo Stato emittente presenta carenze sistemiche o gravi riguardo all’indipendenza giudiziaria o alle condizioni di detenzione, che potrebbero non soddisfare gli standard minimi previsti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, ma anche che tali asserite carenze devono essere scrupolosamente ed attentamente documentate.

Ed infatti la sentenza va interpretata come un rafforzamento della tutela dei diritti fondamentali all’interno dell’UE, riconoscendo che il principio di fiducia reciproca tra Stati membri non è assoluto. Ma anche che il diniego, stante tale principio fondante, non può essere basato su elementi solo unilateralmente dedotti e non approfonditi con lo Stato emittente.

Le linee guida date dalla Corte indicano che la protezione dei diritti umani deve essere prioritaria anche nei casi di cooperazione giudiziaria transnazionale. Tuttavia, il rifiuto di eseguire un MAE richiede prove concrete e specifiche di violazioni o di effettivi rischi di violazioni dei diritti fondamentali, evitando così un uso arbitrario della clausola di salvaguardia.

La Corte ha così esplicitato un pilastro dell’esistenza stessa della cooperazione giudiziaria intraeuropea, ovverossia che i diritti umani fondamentali non arretrano di fronte al principio della mutua fiducia tra Stati membri.

Avv. Giada Caprini

 

 

Riferimenti

[1] L’articolo 1 della decisione quadro 2002/584, rubricato «Definizione del mandato d’arresto europeo ed obbligo di darne esecuzione», così recita:

«1. Il mandato d’arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o una misura di sicurezza privative della libertà.

2.Gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato d’arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco e conformemente alle disposizioni della presente decisione quadro.

3.L’obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i fondamentali principi giuridici sanciti dall’articolo 6 [TUE] non può essere modificato per effetto della presente decisione quadro».

L’articolo 3 di tale decisione quadro, intitolato «Motivi di non esecuzione obbligatoria del mandato di arresto europeo», dispone quanto segue:

«L’autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione rifiuta di eseguire il mandato d’arresto europeo nei casi seguenti:

1) se il reato alla base del mandato d’arresto è coperto da amnistia nello Stato membro di esecuzione, se quest’ultimo era competente a perseguire il reato secondo la propria legge penale;

2) se in base ad informazioni in possesso dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione risulta che la persona ricercata è stata giudicata con sentenza definitiva per gli stessi fatti da uno Stato membro a condizione che, in caso di condanna, la sanzione sia stata applicata o sia in fase di esecuzione o non possa più essere eseguita in forza delle leggi dello Stato membro della condanna;

3) se la persona oggetto del mandato d’arresto europeo non può ancora essere considerata, a causa dell’età, penalmente responsabile dei fatti all’origine del mandato d’arresto europeo in base alla legge dello Stato membro di esecuzione».

[2] Così interpretando l’articolo 1, paragrafo 3, e l’articolo 15, paragrafo 1, della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, come modificata dalla decisione quadro 2009/299/GAI del Consiglio, del 26 febbraio 2009.

[3] Interpretando così l’articolo 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584, come modificata dalla decisione quadro 2009/299.

[4] L’articolo 1, paragrafo 3, e l’articolo 15, paragrafi 2 e 3, della decisione quadro 2002/584, come modificata dalla decisione quadro 2009/299, letti alla luce dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali e del principio di fiducia reciproca.

[5] Vedi sentenza 29 luglio 2024 nella causa C-318/24 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

 

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