Il lavoro che uccide: la strage impunita

Il lavoro che uccide. La strage impunita [1]

Tra il 1983 e il 2018 gli omicidi riferibili alla criminalità organizzata sono stati 6.681[2]. 

Nello stesso periodo i morti sul lavoro sono stati oltre 55.000[3]: una strage silenziosa.

Negli ultimi 10 anni la media è stata quasi di 1.200 vittime annue.

Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’INAIL, nel solo 2023 a fronte di 585.356 denunce totali, 1041 hanno riguardato infortuni mortali[4]. 

Più di mille vittime – a fronte di una occupazione totale che, secondo l’ISTAT, si è attestata intorno ai 26 milioni[5] – e che mantiene tristemente costante la tendenza registrata negli anni precedenti (1090 nel 2022, più di 1200 all’anno nel 2021 e 2020[6]). 

Solo nei primi 3 mesi del 2024 sono state presentate già 145.130 denunce di infortunio (+0,38% rispetto al primo trimestre 2023) e sono stati registrati già 191 decessi[7].

Nel 2023 i sinistri mortali plurimi (cioè più vittime in unico incidente) sono stati 15, con 36 vittime totali (tra cui si ricordano gli incidenti di Brandizzo con 5 vittime, l’esplosione di due fabbriche di fuochi artificio, rispettivamente in Abruzzo con 3 vittime e a Rieti con 3 vittime; lo scontro tra una ambulanza  e un pullman a Urbino con 3 vittime).

Il 91,7% dei casi mortali ha riguardato uomini. Quasi la metà dei casi ha riguardato la fascia di lavoratori di 50-64 anni.

Per ciò che concerne gli infortuni, nel 2023 è aumentata l’incidenza nella fascia dei lavoratori under 20 (con un incremento dell’11,7%: da 73.862 a 82.493 casi). In questa classe di età circa 9 infortuni su 10 riguardano gli studenti, prevalentemente delle scuole pubbliche statali (97% dei casi) e per la parte rimanente delle scuole private o pubbliche non statali rientranti nella gestione industria e servizi.

Elevata è l’incidenza dei casi mortali che hanno riguardato stranieri[8] (oltre il 65% degli infortuni mortali avvenuti in occasione del lavoro nel 2023[9]), considerando ovviamente solo i lavoratori regolari. Ed infatti, in base alle ultime rilevazioni ISTAT riferite al 2021, il numero dei lavoratori non regolari si è attestato negli anni intorno ai 3 milioni[10].

A livello nazionale e nel complesso delle attività, sono aumentati rispetto al 2022 i casi di decessi in occasione del lavoro (+1,1%, da 790 a 799), rispetto a quelli in itinere. Si è registrato un aumento dei casi mortali nel settore agricoltura (+ 7 decessi) e Conto Stato (+ 5 decessi) e una lieve diminuzione nel settore industria e servizi (- 3 decessi rispetto al 2022).

All’interno del settore industria e servizi, vi è stato un aumento dei decessi nei comparti Costruzioni e Commercio, una lieve diminuzione nel comparto Trasporti e Magazzinaggio mentre rimane stabile il numero di infortuni mortali nel comparto Attività manifatturiere.

Infine, nel 2023 i sinistri mortali sono stati maggiori nel Mezzogiorno (sud e isole), rispetto a Centro e Nord. 

(Elaborazione Grafica INAIL)

Accanto a tali drammatici numeri, si aggiungono quelli rilevati dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, secondo il quale nel 2023 sono state accertate 36.680 “violazioni in materia di salute e sicurezza” e 3.830 “violazioni penali altre”[11].

E, a fronte di tutti questi dati, tra depenalizzazioni, amministrativizzazione sanzionatoria a sola componente pecuniaria, prescrizione e improcedibilità dei reati, si è consumato il fallimento della prevenzione, dell’accertamento e della repressione: la strage impunita.

Soprattutto quello dei procedimenti penali senza esito è il dato meno conosciuto e conoscibile.

Pur a fronte di una mole straordinaria (e di elevatissimo dettaglio tipologico e geografico) di dati statistici in materia di infortuni e decessi sul lavoro, è incredibile dover constatare come non si disponga di dati open source che possano consentire l’analisi del fenomeno dal punto di vista giudiziario e sanzionatorio penale. Mentre infatti l’attività di raccolta, controllo ed esito amministrativo di INAIL, INPS e INL è completa, facilmente accessibile da chiunque e monitorabile, allo stato attuale non abbiamo dati fruibili (studiabili e sui quali orientare le politiche conseguenti) inerenti alle conseguenze legali e giudiziarie delle migliaia di violazioni penali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, soprattutto quando comportano la morte di un lavoratore.

Non conosciamo quanti procedimenti penali vengano iscritti ogni anno per i reati previsti dagli articoli 589, comma 2 c.p. (omicidio colposo commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro) e 590, comma 3, c.p. (lesioni colpose commesse con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro).

L’analisi dei dati giudiziari, resa pubblica generalmente con le relazioni presentate in coincidenza dell’inaugurazione dell’anno giudiziario[12] riporta dati (male)aggregati e generici, quasi mai classificati per singola tipologia di reato (fatta eccezione per i reati da “Codice Rosso” o i reati di criminalità organizzata).

Allo stato, pertanto, non si dispone pubblicamente del dato inerente al numero dei procedimenti penali relativi a morte/lesioni sul lavoro e/o connessi a violazioni penali della normativa posta a tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Tantomeno si dispone del dato relativo alla definizione dei procedimenti penali, se con condanna, assoluzione, altre formule di proscioglimento, prescrizione o improcedibilità (questi ultimi i dati che negli anni sono stati e sono di maggior interesse e allarme). Non solo non si dispone dei dati aggregati a livello nazionale ma, ancor di più, non si dispone dei dati su base geografica legati a singoli tribunali e corti di appello, pur a fronte di un fenomeno – quello delle morti e degli infortuni sul lavoro – a forte disomogeneità territoriale.

In base a quanto precisato dallo stesso Ministero della Giustizia “Il monitoraggio fornisce ogni trimestre informazioni a livello nazionale sull’andamento dei procedimenti pendenti civili e penali [tutti, dato aggregato] e dell’arretrato civile. Le statistiche sulle pendenze misurano il numero di procedimenti aperti alla fine del periodo. Le statistiche sull’arretrato [riguardano solo i procedimenti civili] rilevano i procedimenti che, alla data di riferimento, non sono stati risolti entro i termini di ragionevole durata previsti dalla legge (cosiddetti procedimenti “a rischio Pinto”[13]).[14]

Dai monitoraggi periodici effettuati e conoscibili non è possibile comprendere come e con quali percentuali tali termini vengano rispettati, soprattutto per ciò che riguarda i procedimenti iscritti per omicidio colposo o lesioni colpose aggravati. 

 

Ebbene, dai dati pubblicati il 22 maggio 2024 emerge solo che “Nel settore penale la riduzione delle pendenze complessive sull’anno precedente è del 14,3%, il valore più elevato dall’inizio della rilevazione, con un totale pendenti che raggiunge il valore minimo dal 2003, pari a 1.228.311 fascicoli[15], ma non è dato sapere come siano composti e che tipologia di reati riguardino questo milione e duecentomila di fascicoli pendenti. Né è possibile ricavare tale informazione dai dati e dalle relazioni pubblicate dalle singole Corti di Appello (che ricomprende i Tribunali) o dalla stessa Corte di Cassazione.

Tuttavia, incrociando i pochi dati disponibili con le complesse norme in materia di prescrizione e improcedibilità, è possibile operare una stima di massima. Ad esempio, in relazione al reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro (art. 590 comma 3 c.p.) il termine massimo di prescrizione è pari a 7 anni e mezzo (non applicandosi il raddoppio del termine previsto invece per l’omicidio colposo aggravato ex art. 157 comma 6 c.p.). Se si considera che solo a Roma più del 30% dei procedimenti viene definito in fase dibattimentale di primo grado in oltre due anni (la durata media dei procedimenti definiti con sentenza è pari a 766 giorni[16]) e che la fase di appello dura in media 1.106 giorni[17], aggiungendo la durata della fase delle indagini preliminari (in relazione alla quale non abbiamo indicazioni e la cui stima generale di durata media del periodo intercorrente tra l’iscrizione della notizia di reato e l’inizio dell’eventuale fase processuale va dai 24 ai 36 mesi), nonché la fase della Cassazione (la cui durata media per il 2023 è stata attestata in 134 giorni[18]) è già facile dedurre come la maggior parte dei procedimenti per questo reato per fatti commessi prima del 2017 si siano prescritti o si prescriveranno prima di giungere a sentenza definitiva. Così come è intuibile che la maggior parte dei procedimenti per fatti commessi dopo il 1 gennaio 2020 diverranno improcedibili per la mancata definizione del giudizio di appello entro il termine di due anni previsto dalla Riforma Cartabia (solo a Roma la durata media in secondo grado è pari a tre anni). Altrettanto facile  prevedere come la prossima riforma della prescrizione, con il ripristino del regime sostanziale ante 2017, comporterà la prescrizione per la maggior parte dei procedimenti riguardanti questo reato e come il temperamento dato dalla sospensione per 24 mesi dalla sentenza di primo grado e per 12 mesi da quella di secondo grado (stante l’attuale durata media dei procedimenti, che ben supera tali termini) non ne scongiuri il rischio. Ed infatti, in caso di superamento del  termine di sospensione, il periodo di tempo trascorso verrà conteggiato ai fini della prescrizione[19]. 

Ancora ad oggi i dati relativi allo stato effettivo e concreto dei procedimenti penali inerenti alle violazioni della normativa in materia di sicurezza sul lavoro (e soprattutto alle vittime che ogni anno tali violazioni causano) non sono pubblicamente disponibili, né accessibili tramite l’ISTAT, la cui ultima rilevazione in materia risale al 2017.

Come anticipato, infatti, le poche informazioni disponibili vengono ricavate con difficoltà dalle relazioni annuali pubblicate dai vari uffici giudiziari. 

Ad esempio, la Relazione presentata dalla Corte di Appello di Roma[20] non contiene dati specifici in ordine alla tipologia di procedimenti suddivisi per reati ma, testualmente cita: “resta egualmente importante la sopravvenienza dei processi per omicidio e lesioni personali colpose da sinistro stradale o a seguito di infortunio sul lavoro.” (relazione pag. 193) e, per ciò che riguarda specificamente il Tribunale di Roma, “Proporzionalmente numerose paiono, altresì, le pendenze al dibattimento dei reati colposi (quali omicidi stradali, colpe mediche e violazioni in materia di sicurezza del lavoro), attestati su 499 procedimenti sopravvenuti nel periodo (pari al 6%), spesso di importante impatto mediatico.” (pag. 139).

Tutto ciò senza specificazione ulteriore, ma in un contesto in cui (come già anticipato) il 34,1% dei procedimenti di competenza del Tribunale monocratico viene definito in un periodo superiore a 2 anni (che sale al 35,2% per i processi celebrati innanzi al Tribunale collegiale), periodo al quale va aggiunto quello della durata media in Corte di Appello e quello delle indagini preliminari.

Analoga situazione si registra leggendo la Relazione della Corte di Appello di Milano[21] dalla quale si evincono solo dati generici e aggregati, senza riferimenti specifici ai tempi di definizione in primo grado (ad esempio, per i Tribunali del distretto viene riportato il numero complessivo di procedimenti iscritti per reati in materia di “Tutela del lavoro, della salute e dell’ambiente”, senza ulteriori distinzioni, pari a 155). Solo per il Tribunale di Sondrio viene riportato il dato relativo ai processi sopravvenuti/definiti/pendenti per art. 589, comma 2 e art. 590 comma 3 c.p. e la durata media (attestata in 386 giorni per l’omicidio colposo aggravato e 166 giorni per le lesioni colpose aggravate)[22].

Per ciò che concerne la relazione presentata dalla Corte di Appello di Napoli[23] il solo Tribunale di Benevento riporta dati su procedimenti iscritti per reati di lesioni colpose gravi e gravissime da infortunio sul lavoro/incidenti stradali, senza ulteriore distinzione[24].

Tuttavia, dallo stesso documento emergono dati in palese contrasto con le risultanze amministrative certificate dall’INAIL: rispetto ai dati c.d. Interforze provenienti da Benevento e provincia[25] si registrano “ZERO” casi di “omicidio da incidente sul lavoro” nel 2022 e “ZERO” casi nel 2023; mentre per il territorio di Napoli e provincia[26] vengono comunicati 2 casi per il 2022 e 3 casi per il 2023.

Questo laddove l’INAIL[27] al contrario, ha registrato nel solo periodo Gennaio-Marzo 2023 un totale di 15 infortuni con esito mortale in tutta la Campania (di cui 9 solo nella provincia di Napoli).

E mentre diventa sempre più evidente la responsabilità di medie e grandi imprese così come della Pubblica Amministrazione nella verificazione dei più gravi casi di morti sul lavoro degli ultimi anni, non sono disponibili i dati relativi alla responsabilità amministrativa degli enti per violazione dell’art. 25 septies del D.Lgs. 231/2001 (Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro)[28]. Ad oltre 15 anni (e, quindi, ad oltre 20.000 morti) dall’introduzione della specifica responsabilità amministrativo-penale per colpa organizzativa e di gestione delle società, non sono pubblicamente disponibili dati statistici e giudiziari inerenti ai relativi procedimenti penali.

Tale grave indisponibilità di dati giudiziari impedisce il controllo sociale, l’orientamento delle politiche pubbliche e l’analisi da parte delle organizzazioni sindacali delle conseguenze per settori produttivi e ambiti territoriali della prevenzione, dell’accertamento e della repressione a fronte della strage silenziosa.

Diventa, pertanto, non rinviabile l’istituzione di un organo centralizzato (sul modello di una Procura Nazionale) destinatario di dati di specifico dettaglio provenienti da tutti i circondari e distretti giudiziari relativi ai reati in materia di sicurezza sul lavoro che renda immediatamente disponibili questi dati, che operi analisi e coordinamento per le relative attività di indagine e che garantisca la trasversalità delle informazioni e dei dati, coordinando l’attività degli enti amministrativi (INAIL, INPS, INL etc.), delle Forze dell’Ordine e delle Autorità Giudiziarie, affinché vi sia una risposta certa e concreta, non solo dal punto di vista della prevenzione e dell’accertamento ma, soprattutto della repressione.

Allo stesso tempo è indifferibile l’introduzione delle fattispecie di omicidio e lesioni sul luogo di lavoro, come veri e propri reati autonomi (e non semplici ipotesi aggravate), sulla scorta di quanto già accaduto, ad esempio, in materia di omicidio stradale.

In vista di questo percorso, è necessario anzitutto disporre dei dati sullo stato attuale della giustizia penale in materia di tutela dei lavoratori. Pertanto, chiediamo che il Ministero della Giustizia comunichi:

      • il numero dei procedimenti penali iscritti negli ultimi 10 anni e quelli attualmente pendenti (con distinzione per singoli uffici giudiziari) inerenti ai reati di omicidio colposo e lesioni colpose aggravati dalla violazione delle norme a tutela della salute e sicurezza sul lavoro;
      • il numero dei procedimenti penali iscritti negli ultimi 10 anni e quelli attualmente pendenti per i reati ex art. 25 septies D. Lgs. 231/2001 a carico di società ed enti;
      • il numero dei procedimenti penali iscritti negli ultimi 10 anni inerenti alle violazioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
      • e, per tutti questi procedimenti penali, il numero e il dettaglio per ufficio giudiziario di quelli definiti con archiviazione, con condanna, con assoluzione, con altre formule di proscioglimento, con prescrizione e per improcedibilità, nonché la durata media degli stessi.

 

Scarica qui il testo del rapporto.

 

 

Riferimenti

[1] Il presente rapporto è stato realizzato dai ricercatori ed avvocati dello studio legale DEVITALAW® per conto della UIL – Unione Italiana del Lavoro. Dati aggiornati al 27.05.2024.

[2] https://www.istat.it/it/archivio/239321

[3] INAIL – media infortuni annui mortali: dal 1980 al 1989:2097; dal 1990 al 1999: 1603; dal 2000 al 2009: 1312; dal 2010 al 2019: 1292.

[4] https://www.inail.it/cs/internet/comunicazione/pubblicazioni/bollettino-trimestrale-inail.html

[5] https://esploradati.istat.it/databrowser/#/it/dw/categories/IT1,DATAWAREHOUSE,1.0/UP_ACC_ANNUAL/UP_DCCN_OCCNSEC2010/IT1,92_507_DF_DCCN_OCCNSEC2010_1,1.0

[6] Sebbene i dati relativi agli anni 2020 e 2021 abbiano risentito enormemente del Covid.

[7] https://www.inail.it/cs/internet/docs/bollettino-trimestrale-marzo-2024.pdf?section=comunicazione

[8] Sebbene per l’INAIL si considerino lavoratori stranieri quelli nati fuori dall’Italia a prescindere dalla cittadinanza (che potrebbe essere italiana).

[9] https://www.vegaengineering.com/wp-content/uploads/2022/03/Report-Annuale-Statistiche-Infortuni-sul-lavoro-Lavoro-Osservatorio-Sicurezza-Ambiente-Vega-Engineering-31-12-23.pdf

[10] https://esploradati.istat.it/databrowser/#/it/dw/categories/IT1,DATAWAREHOUSE,1.0/UP_ACC_ANNUAL/UP_DCCN_OCCNSEC2010/IT1,92_507_DF_DCCN_OCCNSEC2010_1,1.0

[11] https://www.ispettorato.gov.it/attivita-studi-e-statistiche/monitoraggio-e-report/rapporti-annuali-sullattivita-di-vigilanza-in-materia-di-lavoro-e-previdenziale/

[12] Per la presente analisi sono state prese in considerazione le relazioni presentate nel 2024 dalle Corti di Appello di Milano, Roma e Napoli, dalla Corte di Cassazione e la Relazione generale sull’amministrazione della Giustizia del Ministero della Giustizia.

[13] Ed infatti, in base a quanto stabilito dalla legge (Art. 2 Legge 24 marzo 2001 n. 89) il termine di durata massima considerato ragionevole per i processi è fissato in massimo 3 anni per il primo grado, 2 per il secondo grado e 1 per il giudizio di legittimità (oppure 6 anni complessivamente).

[14] https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_9_13.page

[15] https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_9_13.page

[16] Cfr. Relazione Corte di Appello di Roma 2024, pag. 102.

[17] Cfr. Relazione Corte di Appello di Roma 2024, pag. 80.

[18] https://www.cortedicassazione.it/resources/cms/documents/ANNUARIO_PENALE_2023.pdf

[19] Attualmente coesistono tre diversi regimi di prescrizione applicabili in ragione della data di commissione del reato (legge ex Cirielli, legge Orlando e Riforma Cartabia) e, a breve, vi sarà un ulteriore regime simile alla legge ex Cirielli, con alcuni temperamenti, previsto dal DDL di riforma della Legge Cartabia sulla prescrizione (DDL S. 985).

[20] https://ca-roma.giustizia.it/it/paginadettaglio.page?contentId=CTM15036&modelId=55

[21] https://www.ca.milano.giustizia.it/stato_giustizia.aspx?pnl=1

[22] Cfr. Relazione Corte di Appello Milano 2024, pag. 205.

[23] https://www.corteappello.napoli.it/i_stato_giustizia.aspx?pnl=1

[24] Cfr. Relazione Corte di Appello di Napoli, pag. 149.

[25] Cfr. Relazione CdA Napoli, pag. 495.

[26] Cfr. Relazione Napoli, pag. 489 – “Numero delitti commessi a prescindere dall’ente/ufficio che ha ricevuto la denuncia rilevati dagli archivi del Centro Elaborazione Dati Interforze (procedura FASTSDI 2)”.

[27] https://dati.inail.it/opendata_files/downloads/daticoncadenzamensileinfortuni/tabelleRegionali/Tabelle_regionali_cadenza_mensile_Mar_2024_Campania.pdf

[28] Il D.Lgs. 8.06.2001 n. 231  ha introdotto la previsione di responsabilità diretta “amministrativo-penale” degli enti e delle società in relazione alla commissione di determinati reati (tra cui quelli in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro).

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