Il rifugiato non può essere estradato da un altro Stato membro dell’UE – La sentenza della CGUE

Accolta la posizione italiana nella causa C-352/22 con una storica sentenza[1] della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, pilastro a tutela della salvaguardia dei diritti umani e del riconoscimento vincolante dello status di rifugiato nello spazio giudiziario dell’Unione.

Come ricostruito nei nostri precedenti contributi, con ordinanza depositata in data 1.06.2022 il Tribunale Superiore del Land Hamm ha avanzato domanda di pronuncia pregiudiziale alla CGUE, chiedendo se il riconoscimento definitivo dello status di rifugiato di una persona, ai sensi della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, da parte di uno Stato membro dell’Unione europea sia vincolante, con riguardo alla procedura di estradizione in altro Stato membro richiesto di consegna, in ragione dell’obbligo di interpretazione conforme della normativa nazionale stabilito dal diritto dell’Unione, con la conseguenza che l’estradizione di tale persona nel paese terzo o nel paese di origine sia necessariamente esclusa fino alla revoca o alla scadenza dello status di rifugiato.

Il 19 ottobre 2023, l’Avvocato Generale aveva espresso la propria posizione, propendendo per la tesi della ritenuta autonomia e non interferenza tra le due procedure, da cui ne sarebbe derivato il carattere non vincolante di una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato rispetto ad una successiva richiesta di estradizione.

Con la sentenza emessa lo scorso 18 giugno, la Corte ha risolto la questione sottoposta al suo esame affermando la prevalenza dei diritti e delle garanzie di cui gode il rifugiato e l’obbligo degli Stati membri dell’UE di garantire l’effettiva protezione di tali diritti.

La premessa della sentenza

Dopo una sintetica ricostruzione del contesto normativo di riferimento (Convenzione di Ginevra, Convenzione europea di estradizione, Dir. 2011/95, Dir. 2013/32, legge tedesca) e della questione sottoposta al suo vaglio, la Corte precisa anzitutto il perimetro all’interno del quale andrà ricercata la corretta soluzione.

Si chiarisce, infatti, che gli Stati membri riconoscono lo status di rifugiato, ai sensi dell’articolo 2, lettera e)[2] della Direttiva 2011/95, al cittadino di un paese terzo o all’apolide ammissibile per essere considerato rifugiato, senza disporre di un potere discrezionale al riguardo; pertanto, il riconoscimento da parte di uno Stato membro dello status di rifugiato ha carattere ricognitivo e non costitutivo della qualità di rifugiato. Ciò significa che il rifugiato diventa beneficiario di protezione internazionale e dispone di tutti i diritti e i benefici previsti dal capo VII della citata direttiva. Allo stesso modo, lo Stato membro che ha riconosciuto inizialmente lo status di rifugiato successivamente può revocarlo in presenza di determinati presupposti.

La Corte poi specifica che, allo stato attuale del sistema europeo comune di asilo, il legislatore dell’Unione non ha ancora raggiunto pienamente l’obiettivo al quale mira l’articolo 78, paragrafo 2, lettera a), TFUE, ossia uno status uniforme di asilo a favore dei cittadini di paesi terzi, valido in tutta l’Unione. In particolare, il legislatore dell’Unione non ha ancora stabilito un principio secondo il quale gli Stati membri sarebbero tenuti a riconoscere automaticamente le decisioni sullo status di rifugiato adottate da un altro Stato membro, né ha precisato le modalità di attuazione di un tale principio. Pertanto, al momento gli Stati membri sono liberi di subordinare il riconoscimento del complesso dei diritti relativi allo status di rifugiato nel loro territorio all’adozione, da parte delle loro autorità competenti, di una nuova decisione di riconoscimento di tale status.

Inoltre, occorre stabilire se, in forza del diritto dell’Unione in materia di protezione internazionale, una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato adottata da uno Stato membro possa produrre un effetto vincolante riguardo a una procedura di estradizione del medesimo rifugiato condotta da un altro Stato membro, al punto che quest’ultimo debba rifiutare la consegna in ragione dell’esistenza di una siffatta decisione.

Per risolvere la questione, secondo i Giudici, non è sufficiente tener conto solo delle due Direttive 2011/95 e 2013/32 ma occorre richiamare tutta la normativa dell’Unione pertinente, ivi comprese le disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea[3], tra cui in particolare gli articoli 18 e 19[4].

Orbene, l’art. 1 della direttiva 2013/32 mira a stabilire procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95. L’art. 9 riconosce al richiedente protezione internazionale il diritto di rimanere nel territorio dello Stato membro interessato durante la procedura di esame della sua domanda, autorizzando gli Stati membri a derogare a tale diritto solo nei casi ivi previsti (tra cui rientra quello di un’estradizione del richiedente verso uno Stato terzo). Tuttavia, come riconosciuto dallo stesso Avvocato Generale nella propria opinione, tale ipotesi riguarda solo il caso di un’estradizione che intervenga nel corso della procedura di esame di una domanda di protezione internazionale, mentre l’articolo non disciplina la fattispecie di un’estradizione richiesta dopo la concessione di tale protezione da parte di uno Stato membro.

Dall’altro lato, l’art. 21 della direttiva 2011/95 rammenta il dovere per tutti gli Stati membri di rispettare il principio di «non refoulement» in conformità agli obblighi internazionali. Secondo la Corte “Tale disposizione costituisce quindi un’espressione specifica del principio di non respingimento garantito, in quanto diritto fondamentale, dall’articolo 18 e dall’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, in combinato disposto con l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra”.

Poiché la decisione di uno Stato membro di accogliere la domanda di estradizione emessa dallo Stato d’origine nei confronti di un soggetto che ha ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato in un altro Stato membro avrebbe l’effetto di privarlo dei diritti e dei benefici previsti dalla direttiva 2011/95, ne deriva che la procedura di estradizione condotta nel primo Stato membro rientra nell’attuazione del diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta[5]. Di conseguenza, lo Stato incaricato di esaminare la domanda di estradizione sarà tenuto al rispetto dei diritti fondamentali sanciti da quest’ultima, tra cui quelli garantiti dagli articoli 18 e 19 in tema di asilo.

La decisione

Alla luce di queste premesse normative, occorre stabilire se il combinato disposto dell’art. 21 della direttiva 2011/95 e degli artt. 18 e 19 della Carta impedisca l’estradizione successivamente alla concessione dello status di rifugiato.

Posto che l’estradizione dovrà essere in ogni caso negata nel momento in cui vi sia il rischio concreto per il soggetto richiesto di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti, spetta allo Stato membro effettuare questa valutazione e garantire ai richiedenti e ai beneficiari di protezione internazionale il godimento effettivo del diritto sancito dalla Convenzione di Ginevra e dalle norme dell’Unione.

Ed infatti, come evidenziato anche dall’Avvocato Generale, fintanto che la persona richiesta in consegna possiede la qualifica di rifugiato, una sua estradizione verso il paese terzo di origine avrebbe l’effetto di privarla del godimento effettivo del diritto conferitole dall’articolo 18 della Carta. Pertanto, finché detta persona possiede i requisiti per godere di tale qualità, l’articolo 18 della Carta impedisce la sua estradizione verso il paese terzo da cui è fuggita e nel quale rischia di essere perseguitata.

Tale pare essere la condizione del cittadino oggetto del caso esaminato dalla Corte: ed infatti, finché sussiste il rischio che lo stesso subisca nel territorio del suo Stato terzo di origine, da cui proviene la domanda di estradizione, le persecuzioni politiche a causa delle quali le autorità italiane gli hanno riconosciuto lo status di rifugiato, la sua estradizione verso tale Stato terzo sarà esclusa ai sensi dell’articolo 18 della Carta.

A tal riguardo, i Giudici precisano che la mera circostanza (evidenziata dal Tribunale tedesco) che l’azione penale per la quale è stata chiesta l’estradizione del soggetto fosse fondata su fatti diversi da tali persecuzioni non può essere sufficiente per escludere tale rischio.

Inoltre, l’art. 19 della Carta vieta in termini assoluti l’allontanamento di una persona verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti. Di conseguenza, qualora la persona interessata da una domanda di estradizione invochi un rischio serio di trattamento inumano o degradante in caso di estradizione, lo Stato membro richiesto non potrà limitarsi a prendere in considerazione le sole dichiarazioni dello Stato terzo richiedente o l’accettazione, da parte di quest’ultimo, di trattati internazionali (che garantiscono solo in via di principio il rispetto dei diritti fondamentali), ma dovrà fondarsi su elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati, che possono risultare da decisioni giudiziarie internazionali, quali sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, ovvero decisioni giudiziarie dello Stato terzo richiedente nonché decisioni, relazioni e altri documenti predisposti dagli organi del Consiglio d’Europa o appartenenti al sistema delle Nazioni Unite.

Ciò significa che la circostanza che un altro Stato membro abbia concesso alla persona reclamata lo status di rifugiato costituisce un elemento particolarmente serio di cui l’autorità competente dello Stato membro richiesto deve tener conto.

Pertanto, una decisione di riconoscimento dello status di rifugiato, sempreché tale status non sia stato revocato dallo Stato membro che lo ha concesso, deve indurre tale autorità a rifiutare l’estradizione, in applicazione di tali disposizioni.

Secondo i Giudici europei, infatti, “il sistema europeo comune di asilo, il quale include criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale […] è fondato sul principio della fiducia reciproca, in virtù del quale si deve presumere, salvo circostanze eccezionali, che il trattamento riservato ai richiedenti protezione internazionale in ciascuno Stato membro sia conforme alle prescrizioni del diritto dell’Unione, comprese quelle della Carta, della Convenzione di Ginevra e della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950”.

Se lo Stato membro richiesto concedesse l’estradizione del soggetto beneficiario dello status di rifugiato, di fatto eluderebbe l’intera disciplina privando l’interessato del godimento effettivo dei diritti e della protezione garantitagli dalla Convenzione di Ginevra e dalle norme dell’Unione.

Alla luce di tali chiarissime considerazioni, pertanto, la Corte di Giustizia risolve il quesito sottopostole stabilendo che “qualora un cittadino di un paese terzo cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato in uno Stato membro sia oggetto, in un altro Stato membro, nel cui territorio risiede, di una domanda di estradizione proveniente dal suo paese di origine, lo Stato membro richiesto non può, senza aver avviato uno scambio di informazioni con l’autorità che ha riconosciuto tale status alla persona reclamata e in assenza di revoca di detto status da parte di tale autorità, autorizzare l’estradizione”.

Una sentenza storica nel diritto umanitario e penale dell’Unione Europea. Ancora una volta la Corte di Giustizia bilancia, in termini di garanzie e protezione dei diritti umani, le sovranità giudiziarie e politiche dei singoli Stati membri nei rapporti di cooperazione giudiziaria internazionale e, nuovamente, interviene in chiave protesica a colmare una grave lacuna nel sistema processuale penale europeo; sistema oggi interamente proiettato ad uno spazio giudiziario comune con piena ed efficace circolazione dei provvedimenti giudiziari (dai mandati d’arresto alle sentenze), ma che è ancora lontano dallo stabilire con legislazione primaria la piena ed effettiva circolazione (rectius protezione) dei diritti umani e di libertà.

 

Prof. Avv. Roberto De Vita
Avv. Valentina Guerrisi

 

 

Riferimenti

[1] Scarica qui il testo della sentenza.

[2] E ciò in forza dell’art. 13 della Dir. 2011/95.

[3] https://www.europarl.europa.eu/charter/pdf/text_it.pdf

[4] Art. 18 – Diritto di asilo; Art. 19 – Protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione.

[5] Art. 51 – Ambito di applicazione. 1. Le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni e agli organi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà̀ come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Pertanto, i suddetti soggetti rispettano i diritti, osservano i principi e ne promuovono l’applicazione secondo le rispettive competenze. […].

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